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GENOVA MEDICA/

OTTOBRE 2017

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U

n tema come questo impone uno sguardo

ampio ed interdisciplinare. Infatti, come è

noto, si impara qualcosa di nuovo per la

propria disciplina scientifica volgendo l’attenzione

anche ad altri campi del sapere, nonché ad altre

esperienze. Concepire lo spazio architettonico

della cura in funzione dell’individuo, in funzione

dei suoi bisogni, in funzione dell’utilizzo, ma an-

che definire lo spazio come territorio di confine

in cui confluiscono aspetti e dinamiche comples-

se, che tracciano lo sfondo in cui si esprime un

qualunque intervento sanitario, rappresenta l’ine-

vitabile premessa per ogni possibile discorso tec-

nico e scientifico. Ed allora un modo alternativo

per affrontare l’eterno ed accademico conflitto tra

modelli diversi, a volte inevitabilmente tra loro in

contrasto (approccio biologico, approccio psicolo-

gico, approccio sociale), può essere dato dall’a-

nalisi del luogo della cura o meglio dei luoghi

della cura, per declinarla poi sulle opinioni dei

pazienti e famigliari, sulle cure e sui curanti.

Premessa di questa riflessione è che la

qualità dei luoghi interagisce con la dimen-

sione qualitativa dei rapporti, e quindi con la

qualità della risposta sanitaria nel suo com-

plesso. Il luogo è inteso come amplificato-

re di processi che, se qualificati, producono

redistribuzioni di potere, ossia

“empowerment”

dei pazienti, che cessano di essere destinatari

passivi di assistenza, ma diventano anche pro-

duttori di “competence”, ossia di risorse.

Ciò che colpisce è che siamo immersi in una cul-

tura medica che riserva poca attenzione a questi

aspetti. Certamente si riconosce che l’ambiente

ove un paziente sofferente di patologie impe-

gnative si trova costretto sia una componente

importante del percorso curativo, ma gran parte

della cultura sanitaria si basa su una diffusa in-

differenza al dove, professando poca importanza

al rapporto tra corpi e luoghi. Il tema, peraltro, si

connette anche ad aspetti importanti di ordine

deontologico, in particolare relativi al Titolo XIII

(artt.68-69-70) e Titolo XV (artt. 74-75) del Co-

dice Deontologico ed è per questo che l’Ordine

ne favorisce la discussione e l’approfondimento.

Tali tematiche sono state discusse nel Convegno

attraverso relazioni di esperti, come da program-

ma (storia dei luoghi, normative sanitarie, bisogni

dei cittadini….), nonché con tavole rotonde di con-

fronto (associazioni di familiari, operatori sanitari).

I luoghi di cura sono luoghi dove l’espressione

della sofferenza e del dolore è immediata, nel

senso che non prevede molte di quelle mediazioni

che normalmente sono messe in atto negli scambi

comunicativi socialmente accettati.

La sofferenza ed il dolore generano identifica-

zione, compartecipazione, compassione solo fino

ad una certa soglia di tolleranza, oltre la quale,

quando si ha una vera e propria evacuazione

nella mente dell’interlocutore, che non riesce a

contenerli, prevalgono imponenti meccanismi

difensivi, quali il distacco emotivo, l’allon-

tanamento fisico, la tecnicizzazione esa-

sperata, la sanitarizzazione dell’incontro

con la persona malata. L’angoscia, avver-

tita come debordante e intollerabile, tro-

va una prima risposta nella costituzione

di enclaves, intesi come luoghi e spazi, al

cui interno i curanti indulgono per proteg-

gersi, difendersi, tenere a bada, raffreddare

la compartecipazione affettiva.

Negli ospedali - come nei servizi sanitari ma

anche nelle strutture residenziali, comuni-

tà per adulti, minori ed ora anche anziani - è

I luoghi di cura

e salute

mentale

Pietro Ciliberti

Commissione Psichiatria

e Neuropsichiatria Infantile

Luigi Ferrannini

Commissione Psichiatria

e Neuropsichiatria Infantile

Le Commissioni dell’Ordine