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GENOVA MEDICA/

OTTOBRE 2017

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prevista una netta partizione degli spazi: abbiamo

accanto alle corsie di degenza, le stanze degli in-

fermieri, quelle dei medici, la guardiola, la cucinet-

ta, ecc., tutti spazi di decantazione, di decompres-

sione dell’angoscia, spazi cioè di riconoscimento

dell’identità di gruppo di chi è sano, rifugi per ri-

tirarsi dall’incontro pericoloso con la malattia e il

dolore. La progettazione dei nuovi spazi di cura

dovrebbe tenere, quindi, conto certamente in pri-

mo luogo delle istanze dei bisogni (primari e se-

condari) dei curati, ma anche di quelle degli ope-

ratori della salute, del loro equilibrio psichico, delle

loro necessità difensive nei riguardi di un contatto

gravoso e prolungato con elevate quote di dolore

e di sofferenza. La progettazione di luoghi inter-

medi, di spazi di transizione, di mediazione, evite-

rebbe la costituzione di ritiri clandestini, di cripte

rigide di non consumazione delle angosce, di rifugi

apparentemente rassicuranti, sostanzialmente an-

tirelazionali. Fino ad oggi, la maggior parte degli

spazi di cura sono sati pensati in funzione delle

logiche curative, secondo le quali non è contem-

plata, né contemplabile, l’integrazione tra la ma-

lattia da debellare e la persona da curare, per cui

risulta automatica la distanza emotiva dal paziente

e dalla sua malattia.

Anzi, per certi versi, la neutralità affettiva è stata

prescritta come necessaria all’organizzazione te-

rapeutica. Le caratteristiche di neutralità vengono

riproposte nello spazio ospedaliero, nel quale l’uso

dei colori (dal bianco al grigio, al verdino o all’az-

zurrino), dei materiali, metallo e materiali sintetici,

delle luci e di tutte le finiture, hanno come unico

obiettivo l’igiene, la qualità prestazionale.

Prevalendo l’attenzione rivolta al soddisfacimento

di esigenze dimensionali, funzionali ed igieniche,

si è trascurata la potenzialità dell’ambiente nel fa-

vorire processi interattivi tra individui, attività tera-

peutiche ed attrezzature e non riconoscendo l’inci-

denza emotiva dello spazio sul soggetto, su coloro

che vi operano e su coloro che ne usufruiscono.

L’ambiente che accoglie non può fare riferimen-

to a modelli generalisti e razionalizzanti, sostan-

zialmente spersonalizzanti (ospedali tradizionali

e ambulatori), che trovano conforto in riferimenti

culturali forti, quali “la macchina della salute” di Le

Corbusier, modelli fautori della totale sanitarizza-

zione degli spazi, dell’uso imponente del bianco.

Questi modelli sono da evitare, in quanto sono

possibili promotori della censura comunicativa e

si costituiscono come un ostacolo insormontabi-

le per attuare scambi orizzontali, in quanto con-

tribuiscono a raffreddare le emozioni, i sentimenti

e la loro espressione. E’ obbiettivamente più dif-

ficile, ma sicuramente più affascinante, pensare

e, quindi, attivare percorsi di libertà effettiva, che

agevolino il passaggio dall’interno all’esterno e,

viceversa, con relativi spazi di transizione, che

abituino al nuovo paesaggio senza scarti, ma an-

che senza soluzioni semplicisticamente facilitan-

ti. Luoghi che comprendano la dimensione della

casa e quella del servizio sanitario, attraverso la

commistione sempre più accettabile di elementi

noti e ignoti, di luoghi di riconoscimento della pre-

cedente identità e di facilitazione dell’accettazione

di quella nuova di malato. Esistono esperienze che

prevedono nuove modalità di progettazione e di

costruzione di luoghi sanitari diversi?

Parlare, quindi, dei luoghi di cura, vuol dire parlare

dei pazienti (con i loro diritti, bisogni ed aspettati-

ve), parlare dei famigliari e dei

caregiver

, parlare

degli operatori, in definitiva affrontare anche la

necessaria “cura” dei luoghi, unitamente all’appro-

priatezza delle cure erogate.

Il Convegno - con l’aiuto di storici dell’arte, funzio-

nari regionali che si occupano di definire norme e

criteri per l’autorizzazione ed eventualmente l’ac-

creditamento delle strutture sanitarie insieme alla

funzione di controllo, condivisa e governata dai

nuclei dei NAS, giornalisti, psichiatri, neuropsichia-

tri infantili e soprattutto Associazioni di famigliari

e di utenti - ha provato a disegnare nuovi profili di

cura, dove la cura del luogo risulterà preliminare

alle pratiche sanitarie e sociali.

Le Commissioni dell’Ordine