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GENOVA MEDICA/

OTTOBRE 2017

15

In primo piano

Marina E. Botto

Direttore Editoriale

“Genova Medica”

La malattia tra fisica e metafisica

Destinazione inferno:

biglietto di ritorno

I

n principio è la solitudine: abbandono affollato,

isolamento forzato, silenzio assordante. Poi vie-

ne il momento dell’invidia: quando gli occhi si

aprono sull’immediato circondario, ecco un picco-

lo mondo suddiviso in due parti che condividono

gli spazi, ma opposte e poco miscibili, i pazienti

e i sanitari, persone malate e persone in ottima

salute. Li guardi spostarsi con una rapidità per te

oramai inconcepibile, specialmente nello sfrec-

ciare via dal tuo letto; bevono senza soffocare ad

ogni sorso, stanno in piedi e soprattutto vanno a

casa, hanno un’altra vita fuori. Ma l’invidia è una

bestia che si nutre di se stessa, perciò i paraplegi-

ci completi invidiano i paraplegici incompleti, che

invidiano i monoplegici, che invidiano tutti quelli

che sono messi meglio di loro; gli unici forse esen-

ti sono i tetraplegici, il cui mondo inizia e finisce

nella stanza, se non nel letto, e non sono invidiabili.

Concentrarsi sugli altri è più semplice e meno do-

loroso del concentrarsi su se stessi.

Prendere coscienza dei propri nuovi limiti è però

il punto di partenza ineludibile per iniziare un pro-

cesso di riabilitazione e soprattutto di adattamen-

to: bisogna pur stare agli scherzi che ti fa la vita.

Se poi lo scherzo te lo ha fatto involontariamente

un Collega in sala operatoria, concentrarsi su se

stessi protegge dalle derive irrazionali e pernicio-

se dei sentimenti (disperazione, rancore, rivalsa).

Occorre alzare lo sguardo e guardare bravamen-

te al proprio futuro, per quanto nebuloso ed an-

siogeno. Quante prime volte! La prima volta che

si arriva al comodino per prendere un bicchiere

d’acqua, la prima volta sul sollevatore (o meglio il

primo tentativo di piegare il tronco dopo due mesi

di allettamento), la prima volta sul seggiolone po-

lifunzionale, la prima volta a spingersi da sola in

carrozzina…

Tutte queste faticose conquiste scandiscono i

tempi di una nuova vita, sono i segni di un cammi-

no che, comunque, aiutano a voltare le spalle alle

cose perdute per esplorare il campo delle cose da

ritrovare, i primi momenti di gioia vera dopo tanto

dolore apparentemente fine a se stesso.

Istantanee di un percorso riabilitativo: il momento

in cui, davanti alle parallele, ho capito di non sape-

re più fare un passo né mettere un piede davanti

all’altro; riuscire a salire un gradino, nello stupore e

nell’incredulità, ma non a scenderlo; passare dalla

carrozzina al girello e prendere un abbrivio degno

delle partenze di Marquez in MotoGP (girello rapi-

damente sequestrato per eccesso di velocità tra le

risate di tutta la palestra); io che mi metto in piedi

davanti all’armadietto e scelgo personalmente la

tuta; la gita in famiglia nella festosa confusione

prenatalizia di Alassio e il pranzo di Natale nel ri-

storante a fianco dell’Ospedale (tre carrozzine per

metro quadro); il primo week end “terapeutico” a

casa, giusto per capire quanta strada c’è ancora

da fare e il secondo, giusto per capire che biso-

gnerà cambiare casa; mio figlio che mi porta fino

alla macchina in carrozzina e poi io che guido da

Pietra Ligure a Loano (oddio i vigili!); i cappuccini

con le amiche al bar nel centro storico di Pietra

Ligure; i mille abbracci e i mille distacchi, gli arri-

vederci alla prossima settimana, le lacrime sempre

pronte. Menzione speciale alla “lezione di guida di

carrozzina all’aperto” con mio marito (un Camel

Trophy - io e la mia fisioterapista stiamo ancora

ridendo).

Mi accorgo di correre troppo e correre proprio

non posso più: come riassumere in una parola il

tempo dilatato della fatica e quello vertiginoso del

calendario? E’ tutta vita. E’ vita il Collega intimo-

rito dal trovarsi di fronte un Medico ammalato (la

famosa chimera); è vita la dichiarazione di mor-

te (presunta) della vescica, che un bel giorno si