GENOVA MEDICA/
OTTOBRE 2017
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In primo piano
ribella e contro ogni previsione resuscita e grida
a tutti “Sono viva e funziono! Male, ma funziono”.
E’ vita la vetrata della sala da pranzo, con vista
sull’elisuperficie, dove atterra l’elicottero dei Vigili
del Fuoco e dove tante volte ho accompagnato
persone con cui senza saperlo condividevo il de-
stino. E’ vita l’albero di Natale in reparto e io che il
magone a Natale ce l’ho sempre avuto…là dentro
fu un disastro: oltre 24 ore consecutive di pianto
a dirotto, senza mangiare né dormire, finché un
angelo si accorge che non rispondo neppure al
telefono e fa un volo di 80 km per venire a conso-
larmi. E’ vita la tanto attesa visita dello psicologo
(vietato piangersi addosso e tantomeno piangere
addosso ai familiari) e io con tutti i miei tormenti
tra le mani, tirati su dal fondo della psiche e pronti
da riversare su un qualcuno, che non si presenta
all’appuntamento e neppure avvisa. E’ vita ricevere
in regalo da un’amica un bel quadernino e usarlo
per scrivere un testamento biologico, che nessuno
rispetterà, e le disposizioni per il funerale (tanta,
tanta musica), che figurati se non faceva la prepo-
tente anche dopo morta!
“Non ho paura della morte, è solo che non vorrei
essere lì quando succede.”
(W. Allen). Un esempio
di come il genio sa travestire di esilarante banalità
le verità più complesse: è proprio così, nell’immi-
nenza della morte non vorremmo “esserci”, cioè
esserne consapevoli, ma questo è un privilegio
concesso a pochi, magari in cambio di una morte
precoce, improvvisa, in circostanze tragiche. In Ita-
lia di solito l’argomento viene escusso e liquidato
con scongiuri più o meno eleganti, di conseguen-
za quasi tutti si scompongono e si destrutturano
davanti alla morte altrui, figurarsi davanti alla pro-
pria. Questo genera una serie di comportamenti
contraddittori e sprovveduti, discussioni surreali e
infinite quando si affrontano temi oggi attualissimi
nel mondo occidentale, ma non per la mentalità
superstiziosa degli italiani: gli hospices non hanno
mai sfondato, l’eutanasia è tabù, le dichiarazioni
anticipate di trattamento restano un mistero.
Va detto che sulla sponda opposta c’è una mi-
noranza rumorosa di fondamentalisti, che un po’
intimoriscono: indubbiamente in Svizzera l’ingra-
naggio è affidabile e ben oliato, d’altronde sono
orologiai. Invece l’Italia è molto creativa, per non
dire fantasiosa, e riesco già ad immaginare svariati
modi di trasformare un diritto umano in un siste-
ma per sbarazzarsi di parenti ricchi, genitori non
autosufficienti e mogli rompiscatole. Tornando alla
vita, ma restando in Italia, non possiamo trascurare
una regola d’oro, rigorosamente applicata in tutti i
settori della società: in un Paese dove perfino una
lettera - per avere la certezza di pronta consegna
- ha bisogno di essere “raccomandata”, certi tipi di
protezione anche nel mondo della Sanità diventa-
no purtroppo strategie di sopravvivenza.
Per il Medico ammalato, che praticamente si rac-
comanda da sé, alcune cose diventano indubbia-
mente più semplici mentre altre si complicano.
Palpabili nelle relazioni con Colleghi ed Infermieri
sono il desiderio di compiacere e insieme la con-
sapevolezza di avere di fronte un paziente che non
può essere tenuto “one down”, perché non può
accettare lo stato di dipendenza psicologica alla
base di un rapporto paternalistico. E’ un po’ come
avere un figlio adolescente che fa le prove di auto-
nomia, spesso sbagliando o esagerando: discutia-
mo della compassione terapeutica e dell’empatia
proattiva, che presuppongono un livello di fiducia
da parte del paziente e di abilità da parte del Me-
dico per adesso tutt’altro che scontato. Il Medico
che cura un Medico è messo alla prova nei fon-
damenti della sua professionalità e non solo nella
competenza: che lo voglia o no, vedrà smascherati
i pensieri e le motivazioni più recondite delle sue
scelte. Ho incontrato Colleghi che palesemente
avevano non-scelto la Medicina costretti da vincoli
ed aspettative familiari, qualche volta ho riscon-
trato il timore di rivelare lacune culturali e limiti
intellettuali, più spesso di quanto avrei voluto ho
percepito nella scelta di fare il Medico la paura
della morte e della malattia per tentare di esorciz-