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GENOVA MEDICA/

OTTOBRE 2017

16

In primo piano

ribella e contro ogni previsione resuscita e grida

a tutti “Sono viva e funziono! Male, ma funziono”.

E’ vita la vetrata della sala da pranzo, con vista

sull’elisuperficie, dove atterra l’elicottero dei Vigili

del Fuoco e dove tante volte ho accompagnato

persone con cui senza saperlo condividevo il de-

stino. E’ vita l’albero di Natale in reparto e io che il

magone a Natale ce l’ho sempre avuto…là dentro

fu un disastro: oltre 24 ore consecutive di pianto

a dirotto, senza mangiare né dormire, finché un

angelo si accorge che non rispondo neppure al

telefono e fa un volo di 80 km per venire a conso-

larmi. E’ vita la tanto attesa visita dello psicologo

(vietato piangersi addosso e tantomeno piangere

addosso ai familiari) e io con tutti i miei tormenti

tra le mani, tirati su dal fondo della psiche e pronti

da riversare su un qualcuno, che non si presenta

all’appuntamento e neppure avvisa. E’ vita ricevere

in regalo da un’amica un bel quadernino e usarlo

per scrivere un testamento biologico, che nessuno

rispetterà, e le disposizioni per il funerale (tanta,

tanta musica), che figurati se non faceva la prepo-

tente anche dopo morta!

“Non ho paura della morte, è solo che non vorrei

essere lì quando succede.”

(W. Allen). Un esempio

di come il genio sa travestire di esilarante banalità

le verità più complesse: è proprio così, nell’immi-

nenza della morte non vorremmo “esserci”, cioè

esserne consapevoli, ma questo è un privilegio

concesso a pochi, magari in cambio di una morte

precoce, improvvisa, in circostanze tragiche. In Ita-

lia di solito l’argomento viene escusso e liquidato

con scongiuri più o meno eleganti, di conseguen-

za quasi tutti si scompongono e si destrutturano

davanti alla morte altrui, figurarsi davanti alla pro-

pria. Questo genera una serie di comportamenti

contraddittori e sprovveduti, discussioni surreali e

infinite quando si affrontano temi oggi attualissimi

nel mondo occidentale, ma non per la mentalità

superstiziosa degli italiani: gli hospices non hanno

mai sfondato, l’eutanasia è tabù, le dichiarazioni

anticipate di trattamento restano un mistero.

Va detto che sulla sponda opposta c’è una mi-

noranza rumorosa di fondamentalisti, che un po’

intimoriscono: indubbiamente in Svizzera l’ingra-

naggio è affidabile e ben oliato, d’altronde sono

orologiai. Invece l’Italia è molto creativa, per non

dire fantasiosa, e riesco già ad immaginare svariati

modi di trasformare un diritto umano in un siste-

ma per sbarazzarsi di parenti ricchi, genitori non

autosufficienti e mogli rompiscatole. Tornando alla

vita, ma restando in Italia, non possiamo trascurare

una regola d’oro, rigorosamente applicata in tutti i

settori della società: in un Paese dove perfino una

lettera - per avere la certezza di pronta consegna

- ha bisogno di essere “raccomandata”, certi tipi di

protezione anche nel mondo della Sanità diventa-

no purtroppo strategie di sopravvivenza.

Per il Medico ammalato, che praticamente si rac-

comanda da sé, alcune cose diventano indubbia-

mente più semplici mentre altre si complicano.

Palpabili nelle relazioni con Colleghi ed Infermieri

sono il desiderio di compiacere e insieme la con-

sapevolezza di avere di fronte un paziente che non

può essere tenuto “one down”, perché non può

accettare lo stato di dipendenza psicologica alla

base di un rapporto paternalistico. E’ un po’ come

avere un figlio adolescente che fa le prove di auto-

nomia, spesso sbagliando o esagerando: discutia-

mo della compassione terapeutica e dell’empatia

proattiva, che presuppongono un livello di fiducia

da parte del paziente e di abilità da parte del Me-

dico per adesso tutt’altro che scontato. Il Medico

che cura un Medico è messo alla prova nei fon-

damenti della sua professionalità e non solo nella

competenza: che lo voglia o no, vedrà smascherati

i pensieri e le motivazioni più recondite delle sue

scelte. Ho incontrato Colleghi che palesemente

avevano non-scelto la Medicina costretti da vincoli

ed aspettative familiari, qualche volta ho riscon-

trato il timore di rivelare lacune culturali e limiti

intellettuali, più spesso di quanto avrei voluto ho

percepito nella scelta di fare il Medico la paura

della morte e della malattia per tentare di esorciz-